martedì 14 agosto 2012

Comunione di umanità, sentimento in estinzione


A Joppolo Giancaxio, in Sicilia, non c'è né bancomat né distributore di benzina. La gente si incontra per strada e la tavola diventa cerimonia e sacramento. [Onofrio Dispenza]

domenica 12 agosto 2012 16:48



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di Onofrio Dispenza

Qui il bancomat non è ancora arrivato. Nel senso che non c'è proprio un distributore di soldi, neanche davanti all'unico ufficio che può ricordare la banca, il vecchio e intramontabile ufficio postale. E non puoi utilizzare il bancomat che hai in tasca per gli acquisti (qui solo frutta, verdura e le cose necessarie), o per cenare nell'unica trattoria di strada. Qui non c'è neanche un distributore di benzina. Se sei del paese, la fai fuori, quando le cose ti portano oltre. Se se un forestiero, è meglio che tu sia avvertito. Qui non hai bisogno dell'auto.

Meditando la fuga dalle nostre grandi città, sempre più cafone e violente, dove il traffico pare un gioco crudele d'altri tempi o di tempi disperati che potranno venire, l'immersione in un paese come questo ti dice che altri modelli ci sono. Niente facce feroci da queste parti, solo sorrisi, saluti e un pizzico di sana curiosità.

Joppolo Giancaxio ha poco più di mille abitanti. Tra loro, una decina di romeni, altrettanti marocchini e qualche cinese. Anche qui. Il paese, a pochi chilometri da Agrigento, e distante quanto basta dal mare per risparmiarti la volgarità dei giorni di ferragosto, ha più joppolesi fuori che qui. Da sempre paese povero e di emigrazione, alla fine dell'800 da Joppolo si andò in America. Rapporto difficile con l'America, in tanti morirono sul lavoro o assassinati. All'inizio del 900, la Tunisia, poi Venezuela e Canada. E' del 1960 il grande esodo verso Francia, Belgio e Germania.

Perché parlo degli emigrati? Perché una sera a Joppolo Giancaxio ti offre una straordinaria immersione nel sentimento del ritorno e in altri sentimenti ormai rari più del panda. In estate, la sera Joppolo è una spianata di tavoli e di sedie. Tutti in strada, a mangiare, bere, a trascorrere il tempo consumando semi di zucca essiccati, salati e no, ed anche ceci abbrustoliti. Tutto il paese è fuori, fino a notte, a parlare dei figli, del lavoro, del momento. Da un tavolo di bar all'altro non c'è separazione. Se si potesse, al bar come in trattoria si vorrebbe un'unica immensa tavola dove dividere quello che arriva.

A tavola i sapori di un tempo: c'è chi li ritrova, c'è chi finalmente li conosce dopo averne sentito parlare, c'è chi li fa conoscere ai figli, che parlano francese o tedesco, hanno i capelli biondi, ma giocano senza alcuna frontiera con i coetanei che qui ci resteranno anche in inverno, marocchini e cinesi compresi. Si aggiornano gli album di famiglia: i nuovi nati, i matrimoni e i fidanzamenti intervenuti nell'anno trascorso, in paese o "U belgiu", la tristezza per chi non c'è più.

I vecchi che sono rimasti sempre qui, chi è andato e ritorna, chi è nato lontano ma sente che qui deve tornare in estate, come facevano, con immensi sacrifici, bruciando tutti i guadagni, i loro genitori. In piazza, sotto la luminaria, mentre un gruppo musicale giovanissimo propone i Pink Floyd raccogliendo il consenso di tutti, anche di chi non li ha mai sentiti "'sti Pinchi Floidd"; in piazza si parla francese, tedesco e il dialetto più antico, quello che i primi a partire misero in valigia, col pane - come se non dovesse mai indurire - col formaggio e con la foto dei genitori.

Ed è la tavola a divenire cerimonia e sacramento, di riunione: i "cavateddi", pasta a mano con la salsa fresca di pomodoro e le melanzane fritte, la "stigghiola" arrostita sulla brace, fatta con budello di agnello con dentro prezzemolo, erba cipollina e primo sale. E vino e gassosa da bere. Perché é comunione, sentimento in estinzione.

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