A Joppolo
Giancaxio, in Sicilia, non c'è né bancomat né distributore di benzina. La gente
si incontra per strada e la tavola diventa cerimonia e sacramento. [Onofrio
Dispenza]
domenica 12
agosto 2012 16:48
di Onofrio
Dispenza
Qui il bancomat non è ancora arrivato. Nel senso che non c'è proprio un
distributore di soldi, neanche davanti all'unico ufficio che può ricordare la
banca, il vecchio e intramontabile ufficio postale. E non puoi utilizzare il
bancomat che hai in tasca per gli acquisti (qui solo frutta, verdura e le cose
necessarie), o per cenare nell'unica trattoria di strada. Qui non c'è neanche
un distributore di benzina. Se sei del paese, la fai fuori, quando le cose ti
portano oltre. Se se un forestiero, è meglio che tu sia avvertito. Qui non hai
bisogno dell'auto.
Meditando la fuga dalle nostre grandi città, sempre più cafone e violente, dove
il traffico pare un gioco crudele d'altri tempi o di tempi disperati che
potranno venire, l'immersione in un paese come questo ti dice che altri modelli
ci sono. Niente facce feroci da queste parti, solo sorrisi, saluti e un pizzico
di sana curiosità.
Joppolo Giancaxio ha poco più di mille abitanti. Tra loro, una decina di
romeni, altrettanti marocchini e qualche cinese. Anche qui. Il paese, a pochi
chilometri da Agrigento, e distante quanto basta dal mare per risparmiarti la
volgarità dei giorni di ferragosto, ha più joppolesi fuori che qui. Da sempre
paese povero e di emigrazione, alla fine dell'800 da Joppolo si andò in
America. Rapporto difficile con l'America, in tanti morirono sul lavoro o
assassinati. All'inizio del 900, la Tunisia, poi Venezuela e Canada. E' del
1960 il grande esodo verso Francia, Belgio e Germania.
Perché parlo degli emigrati? Perché una sera a Joppolo Giancaxio ti offre una
straordinaria immersione nel sentimento del ritorno e in altri sentimenti ormai
rari più del panda. In estate, la sera Joppolo è una spianata di tavoli e di
sedie. Tutti in strada, a mangiare, bere, a trascorrere il tempo consumando
semi di zucca essiccati, salati e no, ed anche ceci abbrustoliti. Tutto il
paese è fuori, fino a notte, a parlare dei figli, del lavoro, del momento. Da
un tavolo di bar all'altro non c'è separazione. Se si potesse, al bar come in
trattoria si vorrebbe un'unica immensa tavola dove dividere quello che arriva.
A tavola i sapori di un tempo: c'è chi li ritrova, c'è chi finalmente li
conosce dopo averne sentito parlare, c'è chi li fa conoscere ai figli, che
parlano francese o tedesco, hanno i capelli biondi, ma giocano senza alcuna
frontiera con i coetanei che qui ci resteranno anche in inverno, marocchini e
cinesi compresi. Si aggiornano gli album di famiglia: i nuovi nati, i matrimoni
e i fidanzamenti intervenuti nell'anno trascorso, in paese o "U
belgiu", la tristezza per chi non c'è più.
I vecchi che sono rimasti sempre qui, chi è andato e ritorna, chi è nato
lontano ma sente che qui deve tornare in estate, come facevano, con immensi
sacrifici, bruciando tutti i guadagni, i loro genitori. In piazza, sotto la
luminaria, mentre un gruppo musicale giovanissimo propone i Pink Floyd
raccogliendo il consenso di tutti, anche di chi non li ha mai sentiti
"'sti Pinchi Floidd"; in piazza si parla francese, tedesco e il
dialetto più antico, quello che i primi a partire misero in valigia, col pane -
come se non dovesse mai indurire - col formaggio e con la foto dei genitori.
Ed è la tavola a divenire cerimonia e sacramento, di riunione: i
"cavateddi", pasta a mano con la salsa fresca di pomodoro e le
melanzane fritte, la "stigghiola" arrostita sulla brace, fatta con
budello di agnello con dentro prezzemolo, erba cipollina e primo sale. E vino e
gassosa da bere. Perché é comunione, sentimento in estinzione.